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L’architetto e designer Aldo Rossi aveva una passione per le piccole costruzioni che occupano le nostre case. Oggetti-contenitori per i ricordi e gli affetti – forme poetiche che esprimono un’“ordinaria eccezionalità”.
“Teatro domestico” è il titolo di un’installazione di Aldo Rossi per la XVII Triennale di Milano del 1986 in cui una sezione edilizia gigante accoglieva i visitatori a metà strada dello scalone d’onore del palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio. Pochi lo sanno ma quella che appariva come unʼarchitettura squarciata, ancorché colorata, era collocata pressappoco dove i bombardamenti milanesi del ’43 avevano messo a nudo gli stessi interni di quel palazzo.
Nelle stanze dell’installazione, le cui dimensioni apparivano leggermente rimpicciolite rispetto al vero e creavano con ciò un effetto di sovversione spaziale, trovavano posto mobili e oggetti di varia scala, testimonianza di una particolare affezione di Rossi per il mondo delle piccole costruzioni che riempiono ogni abitazione e della sua passione per gli accostamenti insoliti. Quell’installazione, che materializzava oggetti presenti fin dalla prima giovinezza nei disegni di quello che sarebbe diventato, negli anni ’80, uno dei più noti architetti al mondo, esprime un doppio aspetto del suo interesse per mobili e oggetti: una vena teatrale e una pratica di moltiplicazione di significati che si potrebbe definire “liturgica”. In installazioni, disegni, progetti, infatti, la casa è intesa come teatro delle vicende famigliari: ogni stanza è una scena fissa, le pareti sono mostrate come quinte; tavoli, mobili, sedie organizzano la quotidiana rappresentazione della vita quotidiana. Ma dentro agli interni gli oggetti ordinari subiscono una sorta di trasfigurazione attraverso la quale, grazie a trattamenti “spiazzanti” e a un racconto sotteso, acquisiscono una “ordinaria eccezionalità”.
Per Rossi il racconto sotteso agli oggetti è quello della memoria personale – la propria e quella di ognuno di noi – che spazia dai mobili di famiglia dell’infanzia, agli interni vissuti e fumosi di uffici e studi, al vocio delle scuole o al silenzio delle chiese. Da questo grande magazzino dei ricordi vengono estratte impressioni che si trasformano in progetti attraverso disegni, modelli, simulazioni.
Effetti teatrali e liturgie della memoria si rafforzano, poi, grazie alla messa in pratica continua di un processo di straniamento tipico del lavoro di Rossi. Leggere deformazioni, colori forti, spiazzamenti di luogo o di senso sottraggono i nuovi prodotti al rischio del puro revival e li trasformano in oggetti d’uso, moderni ed evocatori al tempo stesso.
Impressions taken from his great storehouse of memories were turned into projects through drawings, models and simulations.
Nei loro nomi resta il ricordo dell’origine e, qualche volta, la descrizione del nuovo destino: Carteggio per un mobile o Teatro per una poltroncina; il richiamo ad altre forme: Piroscafo per una libreria; il riferimento a luoghi e città specifiche: Milano o Parigi, per sedie o poltrone, l’Elba per una cabina- armadio. Per quanto riguarda i mobili, il principale laboratorio di questo lavoro di creazione e trasfigurazione che, come sappiamo, ha prodotto caffettiere famose, orologi, lampade ecc., è stata la fabbrica Molteni a Giussano dove, complice l’amico di una vita e provetto designer Luca Meda e gli artigiani dell’azienda, i ricordi e i disegni poetici si trasformano in dettagli: incastri, snodi, sagomature. Il profumo e la levigatezza di legni ben lavorati, grazie all'uso di una moderna tecnologia che facilita scorrimenti ed estrazioni, rendono facile l’inserimento di questi mobili particolari sia in ambienti moderni sia antichi. La loro natura, lontana dalla neutralità asettica di molte realizzazioni contemporanee e ben connotata da una forma riconoscibile, cerca sempre una relazione con ciò che di invisibile ogni spazio contiene, che ciò avvenga per famigliarità o per contrasto. Dentro a ogni spazio offrono la ripetizione di gesti abituali e la tranquillità di antiche conoscenze.
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