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Che cosa ne è di un oggetto alla fine della sua vita? Negli ultimi anni, con la crescente consapevolezza dell’impatto dell’attività industriale sull’ambiente, una delle sfide principali con cui il design deve confrontarsi è lo sviluppo di strategie in grado di far fronte ai rifiuti generati dai prodotti alla fine del loro ciclo di vita. Secondo William McDonough, l’architetto co-autore dell’autorevole libro pubblicato nel 2002, dal titolo Cradle-To-Cradle (Dalla culla alla culla): “La natura non ha il problema della progettazione. Le persone sì.”
Secondo il rapporto 2019 della Banca Mondiale attualmente i centri urbani producono più di 2 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi ogni anno. Sono dati statistici impressionanti che inducono a considerare che tutti i settori industriali debbano urgentemente ripensare il loro approccio alla progettazione per interrompere questo flusso di rifiuti. Nell’ambito di un tale orientamento sono emerse numerose strategie nel tentativo di affrontare il problema – dall’impiego di materiali e di processi più ecocompatibili, fino a una gestione accurata della filiera di approvvigionamento e di distribuzione per garantire la massima efficienza.
Nondimeno, uno dei più promettenti percorsi di indagine è l’emergere della progettazione per il disassemblaggio: un processo mediante il quale i prodotti vengono progettati considerando la fine della loro vita come parte essenziale delle fasi creative iniziali. Nella progettazione per il disassemblaggio qualsiasi prodotto, alla fine della sua vita utile, dovrebbe poter essere facilmente scomposto per ricavarne i materiali che lo compongono consentendo di immetterli nei flussi di riciclaggio esistenti.
Questo approccio è il fulcro della politica di sostenibilità di Molteni&C. Tutti i mobili del marchio sono progettati utilizzando mono- materiali, e gli elementi possono essere facilmente smontati per avviarli al recupero e al riciclaggio. In questa ottica il marchio è tra i leader del settore che dedicano particolare attenzione a una seconda vita del prodotto. In questo modo non soltanto si garantisce di contenere al minimo l’impatto ambientale di un oggetto ma si stimolano i progettisti a cercare nuove strade per produrre risultati importanti, creativi e sempre più a prova di futuro.
La presentazione nel 2018 del robot Daisy della Apple, per esempio, ha proposto un nuovo modo di affrontare l’esigenza del disassemblaggio. Il complesso robot Daisy è in grado di smontare fino a 200 iPhone all’ora, garantendo che ogni singolo componente dei dispositivi possa essere recuperato e riciclato per un impiego futuro. Il robot della Apple ha avviato un dibattito nel settore della tecnologia sull’esigenza di ridurre la sua dipendenza dall’estrazione di minerali vergini e di incoraggiare la circolarità. Mediante il processo di disassemblaggio di Daisy alcuni elementi cruciali come il litio possono essere recuperati da un iPhone per essere riutilizzati altrove. Ora Apple sta cercando di aumentare la quantità di ingredienti riciclati utilizzati nei suoi progetti e, come dichiarato nell’edizione 2019 del suo Rapporto sulla Responsabilità Ambientale, attualmente Daisy è in grado di smontare 15 diversi modelli di iPhone. Il rapporto precisa inoltre che nel 2018 Apple ha riciclato più di 48.000 tonnellate di rifiuti tecnologici, re-introducendo nel design dei suoi nuovi progetti cobalto, stagno, alluminio e plastica.
Under design for disassembly, any product should be capable of being easily broken down into its constituent materials at the end of its useful life cycle.
Progettare per limitare i rifiuti nell’ambito della produzione, come ha fatto Apple, ha dato a molti la speranza che un’economia circolare – in cui i rifiuti diventano materia prima per prodotti futuri – possa essere a portata di mano. Nel mondo della moda, oggetto di numerosi controlli per via del suo impatto ambientale, molte aziende stanno cercando di tradurre in pratica una mentalità analoga. Nondimeno, Nike procede in questa direzione da quasi tre decenni. L’iniziativa del marchio americano Reuse-A-Shoe è stata lanciata nel 1993 prendendo scarpe da ginnastica usate per riciclarle e combinarle con scarti di produzione, così da ottenere un materiale a base di gomma denominato “Nike Grind”.
Questo materiale può essere riqualificato in varie applicazioni, e uno dei primi prodotti realizzato negli anni ’90 nell’ambito di questo programma è stato una serie di superfici sportive artificiali contenenti la gomma riciclata. Da allora Nike Grind è diventato parte integrante del marchio, riciclando nel frattempo più di 32 milioni di paia di scarpe e poco meno di 55 milioni di kg di rifiuti di produzione. Space Hippie, l’ultima collezione in ordine di tempo dell’azienda, fa un uso massiccio di materiali riciclati ed è ritenuta a oggi la calzatura Nike con il più basso livello di emissioni di CO2. Progettata nell’ambito del programma Nike per essere un’operazione con emissioni di carbonio pari a zero e a scarti zero, Space Hippie è ideata utilizzando materiali di scarto riciclati, combinati con una suola composta da gomma Nike Grind e da componenti di schiuma riciclata.
“Sustainability has become a core focus and I believe the future generation of designers coming forward will continue this.”
Mentre la maggior parte dei marchi commerciali al dettaglio continua ad arrancare, nuove idee stanno arrivando dai designer emergenti della nuova generazione che presentano un futuro in cui moda e sostenibilità vanno a braccetto. Il designer statunitense Gannon McHugh, per esempio, durante i suoi studi all’Università di Cincinnati si è occupato della vita oltre la vita di un prodotto nel progettare la sua scarpa da ginnastica DFD (Design for Deconstruction). La ricerca di McHugh ha rivelato che nel mondo, ogni anno, un numero vertiginoso di paia di scarpe, pari a 300 milioni, viene buttato via e che uno dei principali fattori che contribuisce a questa realtà è il modo in cui i materiali sono incollati insieme nel design tradizionale delle calzature, un sistema che ne rende complicato il riciclaggio.
In risposta a questa situazione, la scarpa da ginnastica di McHugh è tenuta insieme da una chiusura metallica facile da rimuovere, separando in tal modo ogni singolo componente da smaltire. Composta da cinque strati diversi, la scarpa da ginnastica DFD contiene materiali che si possono riqualificare in trucioli per imbottiti da arredo, lana che può essere triturata e ri-filata per ottenere nuove fibre, e stringhe e cinghie di plastica. Con un’estetica della scarpa analoga a quella dei modelli venduti al dettaglio da marchi di articoli sportivi in tutto il mondo, la scarpa da ginnastica di McHugh dimostra che il design non ha bisogno di compromessi quando si sceglie l’economia circolare.
“Come designer noi siamo in grado di cambiare il modo in cui i consumatori vedono i loro prodotti. Se un componente viene danneggiato, si può sostituire o riparare facilmente senza dover sostituire tutta la scarpa.”
Nell’edilizia oggi gli architetti guardano a sistemi modulari che consentano il disassemblaggio e la scomposizione. Lo studio di architettura Studio Bark, con sede nel Regno Unito, ha collaborato con gli ingegneri di Structure Workshop per realizzare U-Build, un kit di costruzione modulare. Se da un lato U-Build consente di ordinare uno spazio online, di costruirlo e di personalizzarne il progetto, dall’altro il suo vantaggio senza pari è la funzionalità della possibilità di adattamento. Se i requisiti cambiano, il sistema può essere smembrato, riconfigurato o trasferito in altra sede. L’applicazione di questa mentalità alle strutture architettoniche è una proposta rivoluzionaria, soprattutto per strutture temporanee.
Al Salone del Mobile e dell’Illuminazione di Stoccolma del 2019 il disassemblaggio ha svolto un ruolo cruciale nella progettazione di vari stand. Note Design Studio, che ha collaborato alla presentazione di numerosi marchi, ha affermato che lo smaltimento di ciascuna struttura è stato un fattore determinante nella pianificazione dei progetti preliminari. Nel caso dello stand curato da Note per Vestre, azienda con sede a Oslo, che ha vinto il Best Stand Award – il premio per il miglior stand assegnato dal Salone – ciascun componente poteva essere riconvertito una volta chiusi i battenti della fiera.
Anche il marchio di prodotti per la pavimentazione Tarkett ha collaborato con lo studio per ideare un’installazione temporanea che rispecchiasse l’atteggiamento del marchio a favore di un’economia a circuito chiuso. Con la recente inaugurazione di un impianto di riciclaggio interno all’azienda a Waalwijk, Paesi Bassi, Tarkett ha realizzato il proprio processo per garantire che la pavimentazione tessile possa essere scomposta e riciclata per formare nuove collezioni.
In collaborazione con Aquafil, gli ideatori di Econyl, il materiale realizzato con scarti di nylon riciclati, hanno lanciato il ReStart Take-Back Program, un’iniziativa che consente ai clienti di restituire moquette usata per essere smembrata e riciclata in azienda.
Guardando avanti è necessario che il disassemblaggio diventi un principio fondante a cui i designer di prodotto dovranno attenersi. Secondo McHugh è una prospettiva possibile.
“Non sappiamo ancora quanto tempo ci vorrà”, ha detto, “ma la consapevolezza al riguardo sta via via prendendo il sopravvento. La sostenibilità è diventata un focus centrale e ritengo che la futura generazione di progettisti che si sta facendo strada continuerà questo percorso.”
Questa svolta positiva porta nuovo ottimismo nel tentativo di rivalutare la produzione su scala globale. Imprenditori, fabbricanti e ideatori stanno dando vita a prassi basate su un’ottica intrinsecamente consapevole, in grado di offrire ai consumatori la sicurezza fondamentale di soluzioni che coniugano estetica guidata dal design, qualità superiore e produzione consapevole dal punto di vista etico e ambientale.
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