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Luca Meda
Luca Meda è stato un designer che, come poche volte nella storia del design italiano, ha progettato assai a lungo per una stessa azienda: non solo disegnando gran parte dei prodotti e degli allestimenti, ma intervenendo nelle scelte relative alla grafica, alla comunicazione, all’ideazione degli eventi. Ciò ha significato stabilire una stretta e continua collaborazione con un imprenditore, partecipando in modo decisivo alla costruzione di una cultura e di un’identità aziendale chiara e riconoscibile.
Meda ha avuto una formazione complessa: forse in essa sono ravvisabili alcuni tratti essenziali della sua logica progettuale. Si è diplomato a Brera, dove certo ha rafforzato il suo amore per l’arte e sviluppato le sue sottili attitudini per il disegno. Ha poi studiato negli anni ’60 in Germania, a Ulm, presso la famosa Hochschule für Gestaltung, nata nel secondo dopoguerra con l’obiettivo di continuare quell’esperienza del Bauhaus che era stata spezzata nel ’33 dal nazismo. Qui, probabilmente, ha acquisito quella dimensione progettuale fondata sulla logica sistemica e sistematica, sulla composizione per elementi modulari, che si ritrova nei suoi progetti di sistemi componibili. Va infine ricordata la sua collaborazione con Aldo Rossi, con il quale condivideva il rifiuto di intendere la modernità come rottura radicale con la storia, e l’attenzione alle tipologie sedimentate nella memoria.
Il lavoro di Meda, dalla fine degli anni ’70, ha segnato l’immagine Molteni&C, in particolare attraverso due tipi di prodotti. Prima di tutto con i mobili componibili, a partire dalla mitica 505. Prodotti diversi per concezione – in alcuni casi più razionalmente calibrata, in altri più libera e flessibile – che hanno però tutti in comune un modo progettuale che, per esempio nel caso della 505, ne ha garantito l’incredibile longevità. La razionalità dell’impianto ha, infatti, reso possibile (attraverso l’introduzione progressiva di nuove soluzioni, e la cura degli elementi funzionali, dei dettagli tecnici, dei materiali, dei colori) aggiornare periodicamente il sistema, sorta di work in progress, di volta in volta più funzionale, più solido, sempre uguale a se stesso ma sempre contemporaneo.
Il secondo filone è costituito da un’ampia serie di mobili, letti, divani, poltrone e poltroncine, tavoli e tavolini, un vero e proprio panorama domestico. Qui è avvertibile, forse, l’influenza del molto amato Adolf Loos che, agli inizi del XX secolo, diceva:
“All’architetto appartengono i mobili che non si possono spostare”, le strutture fisse, gli armadi, gli elementi a parete. Il padrone di casa sceglie gli altri mobili “secondo il suo desiderio, il suo gusto e la sua inclinazione”.
E qui Meda, committente di se stesso, si è mosso liberamente secondo il suo gusto, le sue idiosincrasie, le sue preferenze, rivisitando memorie di abitazioni o di spazi pubblici milanesi, rileggendo tipologie ottocentesche, rendendo omaggio a Mies van der Rohe.
“All’architetto appartengono i mobili che non si possono spostare”, le strutture fisse, gli armadi, gli elementi a parete. Il padrone di casa sceglie gli altri mobili “secondo il suo desiderio, il suo gusto e la sua inclinazione”.
E qui Meda, committente di se stesso, si è mosso liberamente secondo il suo gusto, le sue idiosincrasie, le sue preferenze, rivisitando memorie di abitazioni o di spazi pubblici milanesi, rileggendo tipologie ottocentesche, rendendo omaggio a Mies van der Rohe.
La passione del Disegno
Una delle attività d’elezione di Luca Meda è il disegno.
Disegna continuamente, su grandi e piccoli fogli, con matite penne e pennarelli, con acquerelli e gessetti, con naturalezza e fluidità. È un grande gioco e insieme un lavoro, basato sull’osservazione e sul ricordo: come se la matita non distinguesse le cose appena viste da quelle viste con gli occhi della mente, ponendole su uno stesso piano.
Meda ritrae ciò che lo circonda, crea architetture reali e immaginarie con precisione di riferimenti, disegna paesaggi e contorni del lago di Como, flashes di vita domestica e ritratti di stanze, belle ragazze e grandi nudi, sagome di edifici tavoli sedie divani.
«Disegnare è una passione che coltivo da sempre, spesso butto gli schizzi ma altri li conservo a migliaia dentro i cassetti, e ne sono orgoglioso. Amo anche il disegno tecnico e la sua precisione, soprattutto il disegno meccanico, il suo rigore astratto, quella sua aria metafisica. Ma penso che quando si cominciano a definire, le cose sono finite. Anche l’architettura mi piace quando è in quel suo stato sospeso e non mi piace più quando è finita, conclusa. La mia educazione più importante, stranamente, è stata quella della scuola d’arte, quella di Brera».
Tra i disegni di Luca Meda molti sono di mobili. Anche i suoi mobili nascono da un rapporto col disegno. A volte, come in certi quadri di De Chirico, sono posti all’aperto, davanti a un lago o dentro una valle. […]
«Trovo i mobili attraverso i disegni d’interni o i ritratti di case. Traccio uno schizzo e mi succede di scoprire un mobile. Sembra un procedimento casuale, ma la casualità è piena di ragioni segrete. A volte succede che non faccia attenzione a uno schizzo e che l’abbandoni, poi che mi torni d’improvviso in mente e che vada a ricercarlo per finirlo o svilupparlo, e che per caso si trasformi in un pezzo famoso». […]
Come in una vecchia sedia, anche in una macchina i materiali, le tecniche, i procedimenti produttivi inducono certe forme, tanto che esse ci paiono assumere carattere necessario. Ma noi sappiamo che le forme, per quanto condizionate, possiedono sempre una dimensione che sta oltre la necessità e che riguarda il gioco e investe i significati».
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