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In un momento fertile dell’architettura italiana, quale quello sviluppatosi tra la fine degli anni sessanta e la fine degli ottanta, i confini tra ambiti progettuali come il design, gli interni e l’architettura erano indubbiamente più sfumati di quanto lo siano oggi.
I motivi non sono da ricercare tanto nella presenza residuale di una indeterminatezza disciplinare di antica data o nell’endemico ritardo di modernità che connota il Novecento italiano e nemmeno nella lunga fase sperimentale attraversata dall’industria o dall’edilizia nel tentativo di mettere a punto quei meccanismi che le avrebbero portate dall’artigianato alla grande produzione. Piuttosto, in quell’epoca, non si era ancora sviluppata del tutto quella tendenza alla differenziazione delle competenze, che si sarebbe affermata in seguito, e l’architettura era ancora un ambito creativo, che riguardava un mondo di forme effettivamente compreso tra “il cucchiaio e la città”.
Un mondo in cui il progetto di una radio, di un soggiorno, di una casa, di un isolato urbano, potevano, a tutti gli effetti, rientrare nella stessa ricerca formale e negli studi degli architetti le occasioni di grande e di piccola scala venivano affrontate allo stesso modo.
Luca Meda è stato un’espressione eccellente di questa stagione, i suoi frammenti di educazione hanno toccato alcuni luoghi mitici della cultura europea di avanguardia come la Hochschule für Gestaltung di Ulm, alcuni studi importanti come quello di Marco Zanuso, ma il suo distacco e la sua esasperata ironia l’hanno salvato da omologazioni, mettendo in evidenza una curiosità e una capacità creativa del tutto personali.
Frutto di uno straordinario momento della cultura milanese che si confrontava e s’incontrava nel perimetro di poche vie del centro, di pochi bar, di qualche luogo di villeggiatura, Luca Meda aveva la capacità di ‘re-inventare’ le cose, tipica del nascente design italiano, e si può ben pensare che l’abbia condivisa, insieme ad altro, con colui che è stato nel campo dell’architettura il suo compagno di strada più famoso: Aldo Rossi. “Tra mobili e caffettiere”, “tra film e borghesia”: questi potrebbero essere i titoli di una lunga stagione di amicizia e di collaborazione, che lasciò tracce tangibili nell’uno e nell’altro.
Di Luca Meda ci rimangono mobili, allestimenti di mostre e musei, progetti di architettura, oggetti di vario genere; ci rimane un rapporto totalizzante e in qualche modo ante litteram, rispetto alle dinamiche successive del design industriale, con una azienda come la Molteni&C; ma ci rimane anche una simpatia debordante e la capacità di vedere negli oggetti che incontrava ciò che gli altri non scorgevano.
Architetto senza esserlo, designer anomalo, disegnatore dotatissimo, raccoglitore di oggetti, Luca Meda ebbe nel mondo degli interni domestici il suo campo d’azione. Dentro gli appartamenti italiani i suoi mobili, i suoi utensili inserivano una modernità, che ricercava un ponte con gli arredi familiari di cucine e tinelli.
Una modernità riconoscibile e colorata, in cui la grande conoscenza dei materiali e delle tecniche non s’imponeva mai a una figurazione che, ritenuta necessaria, riportava la casa all’idea di quel piccolo teatro delle vicende domestiche a cui i suoi stessi disegni si incaricavano di dar vita.
La pubblicazione del suo lavoro, dopo la mostra in Triennale, mette finalmente in risalto l’importanza e l’estensione di una produzione che si colloca, al massimo livello, dentro una stagione pioneristica, a cui si deve il successivo affermarsi del design italiano sulla scena del mondo.
Il volume “Luca Meda architetture, design e disegni", edito da Silvana Editoriale (2021), è la prima pubblicazione monografica a lui dedicata. Per la prima volta infatti è proposta un’analisi critica articolata in tutti i differenti aspetti del suo lavoro, un’accurata biografia e un completo catalogo ragionato delle sue opere. Volume a cura di Nicola Braghieri, Sabina Carboni, Serena Maffioletti con saggi critici di Giampiero Bosoni, Rosa Chiesa, Alberto Ferlenga, Beatrice Lampariello, Chiara Lecce, Mario Piazza e Dario Scodeller.
Il gruppo Molteni ha sostenuto la pubblicazione con entusiasmo, non solo finanziariamente, ma mettendo a disposizione l’archivio storico che costudisce una parte molto rilevante del lavoro di Meda, uomo azienda, che con la sua simpatia e professionalità ha tracciato la strada dello sviluppo di un grande gruppo industriale, leader oggi nel suo campo a livello mondiale.
Luca Meda ed il Gruppo Molteni
In quasi quaranta anni di attività professionale Luca Meda ha spaziato dall’architettura, spesso in compagnia del suo grande amico Aldo Rossi, al design industriale nel suo complesso. In particolare per Molteni&C e Dada, ha ricoperto dal 1968, il ruolo di art director, che gli ha consentito di affrontare a 360° il tema del design industriale, occupandosi non solo del progetto di arredo, ma parallelamente di allestimenti, immagine, cataloghi, fotografia e grafica, di fatto plasmando in particolare aziende come Molteni&C e Dada, nella forma come oggi le conosciamo.
Ricordiamo qui solo alcuni dei molti progetti da lui sviluppati: sistemi per la zona giorno come 505 (1972) e Pass (1997), sistemi per la zona notte come 7volte7 (1988) e Glissquattro (1991), Serie Teatro (1982) e libreria Piroscafo (1991) con Aldo Rossi, arredi singoli come Les Beaux Jours (1985), Vivette (1988), Capotavola (1988), Risiedo (1988), Portafinestra (1989) e Primafila (1990); cucine per Dada, come Vela (1993), Pergola ( 1986) e Banco (1994); arredi per ufficio come Misura (1973) con Richard Sapper e Progetto 25 (1985).
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